Con sentenza del 22 dicembre 2022, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, in seguito al rinvio pregiudiziale effettuato dal Tribunali di Lussemburgo e di Bruxelles, ha fatto luce sulla nozione di “uso” del marchio protetto ai sensi dell’art. 9 del Reg. UE 2017/1001. La sentenza affronta la fattispecie della contraffazione online di un marchio di terzi e la responsabilità del service provider che vende il prodotto contraffatto.
Il rinvio pregiudiziale nasce da due procedimenti promossi da una nota casa di moda francese contro il colosso del commercio online Amazon. L’attrice chiedeva che Amazon fosse riconosciuto responsabile della contraffazione del proprio marchio. Ciò in virtù della sponsorizzazione che Amazon effettuava di alcuni annunci di vendita di prodotti in violazione dei diritti di marchio dell’attrice.
Ad oggi, gli orientamenti giurisprudenziali maggioritari ritengono che la responsabilità per la contraffazione di prodotti online sia imputabile solo ai venditori e non al gestore della piattaforma. Le Corti nazionali hanno, pertanto, ritenuto necessario promuovere il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE per chiarire il concetto di “uso” sopra menzionato.
Le Corti hanno chiesto se per “uso” del marchio contraffatto possono essere incluse anche le attività del gestore della piattaforma idonee ad ingenerare nei consumatori l’idea che quest’ultimo svolga un ruolo preciso nella promozione dei prodotti contraffatti.
Sebbene il Reg. UE 2017/1001 non dia una definizione precisa di “uso” del marchio, la Corte di Giustizia ha affermato che per “uso” si intende un comportamento attivo. Tale comportamento può esplicarsi nel controllo diretto o indiretto dell’atto che costituisce “uso” del marchio e, conseguentemente, il potere di fare cessare tale uso.
La Corte di Giustizia ha affermato che può configurarsi la responsabilità del gestore della piattaforma online qualora i venditori terzi offrano in vendita prodotti contraffatti e l’utente stabilisca un nesso tra i servizi del gestore e il segno contraffatto. La Corte di Giustizia ha specificato che il nesso potrebbe individuarsi quando un utente può “avere l’impressione che sia il gestore medesimo a commercializzare, in nome e per conto proprio, i prodotti recanti il suddetto segno”. A tal fine è rilevante che il gestore “ricorra a una modalità di presentazione uniforme delle offerte pubblicate sul suo sito Internet, mostrando allo stesso tempo gli annunci relativi ai prodotti che vende in nome e per conto proprio e quelli relativi a prodotti proposti da venditori terzi su tale mercato, che esso faccia apparire il proprio logo di noto distributore su tutti i suddetti annunci e che esso offra ai venditori terzi, nell’ambito della commercializzazione dei prodotti recanti il segno in questione, servizi complementari consistenti in particolare nello stoccaggio e nella spedizione di tali prodotti”.
La decisione dei procedimenti pendenti spetterà alle Corti nazionali che dovranno tenere in considerazione il criterio interpretativo fornito dalla Corte di Giustizia.