Esercizio abusivo della clausola “simul stabunt, simul cadent”

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 3058 del 17/04/2023, dopo aver ripercorso brevemente i principi sottesi alla clausola statutaria “simul stabunt, simul cadent”, si è espressa in merito all’esercizio abusivo di detta clausola e alle conseguenze di tale esercizio illegittimo per gli amministratori decaduti.
Come ricordato dalla Corte di merito con la decisione in commento, la ratio della clausola “simul stabunt, simul cadent”, espressamente riconosciuta dall’art. 2386 co. 4 c.c., è quella di mantenere costanti gli equilibri interni dell’organo gestorio originariamente determinati in sede di delibera assembleare al momento della nomina.
Essa, continua la Corte, funge inoltre da stimolo alla coesione del consiglio di amministrazione in quanto ogni consigliere è consapevole che le dimissioni di uno o di alcuni di essi determinerà la decadenza dell’intero consiglio e può, inoltre, contribuire alla decadenza quando vi sia disaccordo in seno al consiglio stesso.
Fatte queste premesse iniziali, il Tribunale ha statuito che l’esercizio abusivo della clausola in commento si configura ogniqualvolta le dimissioni degli amministratori che determinino la decadenza di tutto il consiglio siano esercitate unicamente o prevalentemente con fine di estromettere dal consiglio stesso degli amministratori non più graditi, in assenza di giusta causa, eludendo l’obbligo di corresponsione degli emolumenti residui che sarebbero spettati loro in caso di revoca, oltre al risarcimento del danno.
Quanto all’accertamento della condotta abusiva degli amministratori dimissionari che hanno determinato la decadenza del consiglio, l’onere della prova è in capo all’amministratore decaduto, al quale non basterà dimostrare l’assenza di giusta causa di revoca, ma dovrà anche fornire la prova della esclusiva finalizzazione della clausola alla sua estromissione dal consiglio di amministrazione per il conseguimento di interessi extrasociali o di una parte della compagine sociale e quindi l’ottenimento in via indiretta del risultato di revocarlo in assenza di giusta causa.